Con Attilio Quintili ho collaborato per i molti anni in cui a Deruta ha aperto Fremocco’s House. E’ una casa d’arte in cui è stato possibile sperimentare e vivere l’opera in un clima culturale amicale, ricco e interdisciplinare.
Sono stato tra gli animatori della Seradada, mostra collettiva a cura di Freemocco’s House (Deruta, 21 aprile 2013), con opere e scritti di: Brajo Fuso, Mario Consiglio, Gianfranco Tomassini, Giorgio Crisafi, Luca Costantini, Carlo Dell’Amico, Serenella Lupparelli, Andrea Fogli, Marino Ficola, Danilo Fiorucci, Attilio Quintili, Marco Bastianelli, Giovanna Brenci, Giorgio Croce, Marinella Caputo, Emidio De Albentiis, Samanta Retini, Andrea Baffoni, Antonella Pesola, Rita Castigli, Aurelio Stoppini. Per la serata è stato realizzato un libro d’artista in 20 copie numerate, all’interno del quale compare il mio testo Dadaderuta è una porta aperta per voltolarsi tra morbidi cuscini
Per Attilio ho scritto:
Esplosioni di materia per la festa del mondo
Esplodere deriva dal latino ex-plaudere, che si potrebbe tradurre con “cacciar via battendo”. Infatti, ex indica un venir fuori, un uscire da, mentre plaudere significa “percuotere due corpi insieme in modo da causare rumore”, come quando si applaude sbattendo le mani l’una contro l’altra. Qui scopriamo un’interessante connessione, poiché ad-plaudere vuol dire battere (le mani) causando rumore verso (ad) qualcuno o qualcosa. Sarà forse per questo che, quando ho visto per la prima volta le esplosioni di Attilio Quintili, mi è venuto spontaneo applaudire.
Del resto, nel percuotere, nello sbattere o nel ritmare con le mani o con i piedi, c’è qualcosa di atavico, direi di primordiale. Come pure è primordiale l’uso della materia nelle ceramiche esplose di Quintili, in quanto rimanda a un caos primigenio, a un Big Bang, all’argilla da cui viene la vita o, più semplicemente, ai crateri sulla crosta terrestre.
La tecnica stessa della realizzazione di queste suggestive sculture ne è testimonianza: vi è una componente incontrollabile, alla quale l’artista è sottomesso e dalla quale, al tempo stesso, tenta di svincolarsi, con la sapiente padronanza di una tecnica appresa in anni di lavoro e ricerca.
Detta così sembrerebbe una lotta. Ma Quintili è sereno, direi quasi ludico, e l’opera, nella sua violenza eiettante, è comunque armoniosa. L’applauso non è dunque rivolto al vincitore di una contesa, ma a ciò che di profondo e simbolico l’operazione (materica e concettuale) esprime, qualcosa di intimo, che unisce l’artista, l’opera e lo spettatore. Che cosa dunque applaudiamo quando guardiamo le sculture di Quintili?
Lo scopriamo notando che quelle sculture sembrano vasi e che, evidentemente, la formazione derutese dell’artista gliene dà effettivamente l’impronta. Essi, però, del vaso perdono completamente la funzione, poiché, attraverso l’esplosione, l’ordine che il vaso prevede ne risulta in qualche modo mutilato. Ne acquistano però un’altra ben più elevata, anch’essa nascosta nelle parole.
Vaso, infatti, pur derivando dal latino vasus, reca con sé la radice sanscrita vas, che significa contenere. Dalla stessa radice deriva la parola sanscrita vasati, la quale, tra gli altri significati, ha anche quello di abitare, nel senso di trovarsi in un luogo che contiene. E dal termine vasati, a sua volta, nasce vastya, che in sanscrito è casa o abitazione.
Ebbene, secondo alcune etimologie, vastya si ricollega alla radice del greco festía, che è il focolare della casa, dal quale nascerebbe poi il termine latino festa. Secondo questa interpretazione, fare festa significherebbe “accogliere al focolare domestico”.
È straordinario, perché le sculture di Quintili sembrano vasi esplosi per fare festa. Capisco allora da dove nasce l’applauso, ossia dalla presa d’atto che si tratta di un fuoriuscire fragoroso di gioia e di vita, di un fenomeno artistico-simbolico che narra l’accoglienza, presso la propria abitazione, di una materia primordiale. Del resto, il fuoco che ha creato quelle sculture è anche quello a cui esse tornano, trasformate dall’intervento dell’artista.
Ciò nondimeno, occorre anche osservare che abitare contiene il latino habére, che significa avere. Gli conferisce però una sfumatura di consuetudine, nel senso che l’abitare è inteso come il continuare ad avere. Abitando un luogo, cioè, lo sentiamo nostro, quasi nella forma di un possesso, al punto che il luogo che abitiamo è ciò cui siamo anche abituati e che, come tale, infonde sicurezza, proteggendo e custodendo.
L’esplosione, per contro, rimanda a un disordine, a un caos che viene a turbare proprio l’abitudine e la protezione del luogo che abitiamo. L’esplosione, in un certo senso, è un segnale di guerra e, come tale, può essere in questo caso fraintesa.
Perché dunque applaudire dinanzi a queste sculture? Perché esse, in quanto vasi esplosi, vengono a turbare la quotidianità e l’abitudine. Ma la turbano senza guerra, senza minacce, bensì come accoglienza della vita che è nella materia. Sono fragorosi scoppi per fare festa. Insomma, vi si può vedere l’energia che esplode nel nostro quotidiano e che invade le case che abitiamo: è il darsi del mondo, la sorgente primitiva e primordiale della vita che, come dimostra il processo casuale della tecnica del lustro unitamente alle imprevedibili esplosioni, è sempre eccedente rispetto a ogni forma di controllo.
La festa del mondo è la creatività, l’eccedenza del vitale rispetto all’abituale, del fare rispetto al fatto. È la consapevolezza, cui Quintili ci richiama, che la vita è oltre, che essa è il divino che ci riconduce alle origini e ci muove al futuro. Applaudiamo dunque all’esplosione, ma senza falsi futurismi, perché dietro l’apparente minaccia essa nasconde la ricchezza di una vita che si offre gratuitamente, serenamente e pacificamente.
Perugia, 27 agosto 2013