Die Existenz kann fragwürdig sein. Damit das „In-Frage-stehen“ möglich wird, bedarf es einer Erschlossenheit (Martin Heidegger)
La filosofia dell’apertura (Philosophie der Offenheit, Philosophy of Openness) è il progetto che guida la mia ricerca e ispira la mia didattica.
La filosofia dell’apertura pensa la condizione umana come apertura nell’Essere. L’assoluto non può essere pensato se non entrandovi in relazione e, dunque, togliendolo come assoluto. In quanto assoluto-in-relazione, dunque, l’Essere è l’Aperto.
La questione dell’esistenza umana si pone perciò sul fondamento di un Aperto che, per questa sua natura, desta meraviglia (thaumazein). Il thauma è l’angosciante sorpresa dell’esserci, da cui nasce il porre in questione che viene incontro come problema (pro-ballein).
Il thauma comporta che, nell’apertura dell’essere, l’uomo si trova spaesato. A partire da ciò, Peter Sloterdijk ha ripensato la caratterizzazione heideggeriana dell’Esserci e descrive la Lichtung nella sua origine tecnogena.
Con l’avvento della tecnologia informatica basata su logiche di rete, oggi stiamo diventando testimoni di una operatività non padronale. Si tratta di una tecnica che procede solo sulla via del non fare violenza a ciò che ha davanti e che apprende intelligentemente l’intelligenza, producendo nuove occasioni di intelligenza.
La filosofia dell’apertura esige una soggettività che non si pensa, come l’ha pensata la modernità, quale spontanea attività intelligente, signoria sul mondo delle cose, ma nel senso della costruzione cooperante.
La soggettività aperta, infatti, è tale che definisce la propria chiusura per mezzo della propria apertura (Edgar Morin).
Il nostro mondo produce, paradossalmente, la prima grande società dell’ignoranza […]. Ci limitiamo a premere dei pulsanti, ignorando il più delle volte quali meccanismi vengano innescati […] si produce una soggettività straniata, un sentimento di esteriorità rispetto al mondo circostante (Miguel Benasayag, Gérard Schmit, L’epoca delle passioni tristi