Stiamo diventando testimoni di una forma di operatività non padronale che sta nascendo grazie alle tecnologie intelligenti (Peter Sloterdijk)
La mia ricerca si è sviluppata negli anni universitari a partire dalla riflessione sul trascendentale kantiano. Inteso come metodo, il trascendentale definisce la ricerca sulle condizioni della conoscenza, dell’etica e dell’estetica.
Nella mia tesi di Laurea mi sono occupato del trascendentale nel pensiero di Ludwig Wittgenstein, tentando di rispondere alla domanda se nel Tractatus logico-philosophicus vi possano essere elementi kantiani. L’indagine ha portato alla luce il senso in cui l’etica e la logica sono definite da Wittgenstein trascendentali, individuandolo nella particolare impostazione schopenhaueriana propria del filosofo austriaco.
La ricerca sul trascendentale in Wittgenstein si è sviluppata e precisata nel percorso di Dottorato di Ricerca. Ho trascorso un anno all’Università di Passau (2003) dove, sotto la guida di Wilhelm Lütterfelds, allora presidente della Ludwig Wittgenstein Gesellschaft (ora Internationale Ludwig Wittgenstein Gesellschaft), ho approfondito la letteratura internazionale sul tema del kantismo nel primo Wittgenstein.
Conseguito il Dottorato di ricerca (2004) sono stato titolare per cinque anni di un assegno di ricerca in Filosofia presso l’Università di Perugia. Durante questo periodo l’interpretazione kantiana di Wittgenstein si è ulteriormente precisata nei suoi aspetti linguistici. La filosofia del linguaggio mi ha fornito il metodo e il contesto in cui leggere il rapporto tra conoscenza e realtà.
Nel volume “Oltre i limiti del linguaggio” (2008), le ricerche finora condotte hanno trovato un primo esito: Wittgenstein ripropone il problema kantiano nella forma di un’indagine sui limiti del linguaggio. Questa vicinanza generale tra le due prospettive filosofiche rivela conseguenze teoretiche che aprono sviluppi decisivi per la riflessione filosofica contemporanea. Nel Tractatus logico-philosophicus Wittgenstein individua i limiti del linguaggio dall’interno del linguaggio medesimo. Si pone così una questione che, nella prospettiva kantiana, restava nell’ombra, vale a dire quella dell’autoriferimento della problematica trascendentale e, dunque, del suo superamento. Lungi dal risolversi in una sorta di aporia, la tendenza ad oltrepassare i limiti del linguaggio assume in Wittgenstein un essenziale significato etico: gli permette di sottolineare che la possibilità stessa della conoscenza si radica in una originaria domanda di senso che si impone all’uomo e alla quale egli non può sottrarsi, in quanto si trova aperto ad una realtà che gli si dà originariamente e gratuitamente. Si dischiude così la possibilità di intendere il trascendentale come un’apertura al senso oltre i limiti del linguaggio.
A questo punto, la mia ricerca ha esplorato strade differenti indagando gli sviluppi filosofico-linguistici, etici e storici dei problemi posti. Da un lato, ho rintracciato l’influsso di Paul Ernst su Ludwig Wittgenstein, partendo da alcuni passaggi inediti in cui il filosofo austriaco riconosce il suo debito verso il letterato tedesco in merito all’espressione “fraintendimento della logica del linguaggio”. Da tale linea di ricerca è nato il volume “Logica del linguaggio e logica del mito. L’influsso di Paul Ernst su Ludwig Wittgenstein” (2010). Attraverso la ricostruzione dei passaggi salienti della riflessione teorica di Ernst, l’indagine mette in luce la funzione fondamentale che egli attribuisce al linguaggio nella costruzione e nello sviluppo delle materie mitiche. In particolare, emerge il valore del mito come strumento di formazione dei popoli e come deposito di un senso morale del mondo. Ernst ritiene che ciò trovi riscontro nel ruolo svolto dalle forme linguistiche ed evidenzia la stretta interdipendenza tra le trasformazioni del linguaggio e quelle della visione del mondo. Alla luce di queste considerazioni, i riferimenti a Ernst nell’opera di Wittgenstein permettono di valutare l’entità dell’influsso che il poeta tedesco potrebbe aver esercitato sul filosofo austriaco.
Un’altra linea di ricerca ha indagato gli sviluppi del rapporto tra linguaggio, mondo e realtà nella filosofia contemporanea. Mantenendo un punto di vista e un metodo storico-teoretico, ho progressivamente focalizzato l’attenzione sulla questione della verità che mi è parsa centrale nel periodo compreso tra Gottlob Frege e Hilary Putnam. L’obiettivo della ricerca era di ricostruire il problema superando la classica opposizione tra filosofia analitica e continentale, cercando piuttosto di ricostruire un orizzonte problematico unitario. L’esito è confluito nel volume “Realtà o linguaggio. La questione della verità da Frege a Putnam” (2015). La riflessione è partita dalla constatazione che la verità appare caratterizzata da un’inevitabile ambiguità: si è portati spontaneamente a ritenere che un enunciato vero corrisponda alla realtà, ma quando si tenta di esprimere la relazione tra l’enunciato e il mondo, non si riesce a farlo se non pronunciando altri enunciati. In tal modo, però, la garanzia di verità sembra ridursi a un rimando senza fine da enunciati ad altri enunciati e l’impressione è di restare confinati entro i limiti del linguaggio. Il volume esplora il lungo e complesso dibattito che si snoda tra Frege e Putnam alla luce delle difficoltà inerenti alla concezione intuitiva. Alle origini della filosofia analitica, il problema della verità viene affrontato secondo il metodo di analisi logico-linguistica, per poi essere progressivamente riconfigurato su basi epistemologiche con il Neopositivismo. Le questioni che si aprono sui diversi fronti di indagine, tuttavia, impongono anche una riflessione tesa a rivalutare gli aspetti pragmatici della verità. L’attenzione si concentra quindi sulle cosiddette concezioni deflazioniste, le quali permettono di evidenziare, per via negativa, altri caratteri utili a chiarire il concetto di verità. Infine, attraverso il contributo di Davidson, Rorty e Putnam, si giunge alla conclusione che la verità è una nozione insieme robusta e complessa, come una corda che nasce dall’intreccio di numerosi fili di corrispondenza, asseribilità garantita, sincerità, validità ed efficacia pragmatica. In quanto tale, perciò, la verità è soprattutto un valore che richiede di essere perseguito, insieme il presupposto e la meta finale delle ricerche su ciò che chiamiamo realtà.
Negli ultimi anni ho riflettuto sul mio percorso di ricerca e ho sviluppato la convinzione che la prospettiva storico-linguistica ha sostenuto una visione teoretico-morale guidata dall’idea di apertura. Ho pertanto elaborato le linee fondanti di una Filosofia dell’Apertura, recuperando autori e problemi che, nelle mie ricerche precedenti, hanno agito spesso anche sullo sfondo.